INVESTIGAZIONE PRIVATA - Sì a indagini difensive commissionate all'investigatore privato direttamente dalla persona offesa anziché dal suo difensore.

Ritengo che sia una Sentenza molto importante per l'attività investigativa. In ogni caso il punto è che il Committente può affidare un incarico investigativo ad un investigatore privato autorizzato dalla Prefettura per far valere e/o difendere un suo diritto in sede giudiziaria e quindi anche in questo caso.

Mi chiedo: difronte alle prove palesi di un fatto raccolte da un investigatore privato è il caso di contestare se sia stato incaricato dal difensore o dal cliente stesso? MAssimiliano Altobelli - Investigatore Privato a Roma


È utilizzabile in sede penale la relazione redatta dall'Investigatore privato autorizzato, che abbia svolto le indagini a richiesta della parte lesa, anziché su incarico del difensore che la assiste?
Per la Corte d'Appello tridentina, nulla osta a che il c.d. "report" del detective privato che sia stato incaricato soltanto dal diretto interessato ("il singolo che ne abbia interesse") ad accertare un determinato "tema di indagine" venga speso nell'ambito del processo penale, poiché, da un lato, la sua natura è quella di fonte probatoria sottoposta alla libera valutazione del giudicante e, dall'altro lato, non è ravvisabile nel nostro Ordinamento un sistema di prova legale nominato. 
L'affermazione della legittimazione ad attribuire il mandato a indagare all'investigatore privato in sede penale, da parte della stessa "parte assistita", non è affatto scontata.
Si ponga attenzione alla rilevanza degli interessi e dei diritti che possono essere attinti da una indagine commissionata da un privato che si ritenga persona lesa in un procedimento penale, al di fuori di ogni forma di controllo da parte della "difesa tecnica", in grado di saggiare la fattibilità delle investigazioni e la opportunità di comunicarne in tutto o in parte (anche ad evitare qualsivoglia ritorsione) le risultanze all'assistito.

Infatti, se alla volontà dell’assistito va riconosciuto un peso specifico determinante, al fine di esercitare il diritto di difendersi indagando e provando, va senza dubbio ammesso che la legge n° 397/00 è stata strutturata per escludere che l'assistito sia fornito della capacità legale d'indagare sfruttando in prima persona l’apparato predisposto dal codice di rito penale: in dottrina (ad es. Cristiani) si è rilevato come il legislatore ha individuato soltanto il difensore quale destinatario della disciplina delle indagini difensive, rimanendo indifferente verso le attività che la parte privata può intraprendere in sede extrapenale, purché nella sfera del lecito. Dunque, con buona pace della tesi fatta propria dalla Corte trentina, la legittimazione a indagare risiede nell’assunzione della qualità sostanziale di difensore, ovverosia nell'atto di nomina. 
Per contro, militano in senso contrario le opinioni di coloro secondo cui il privato cittadino coinvolto in un procedimento penale può svolgere per proprio conto indagini per reperire fonti di prova da utilizzare nel successivo dibattimento ma, in tal caso, se il privato cittadino di sua iniziativa si rivolga direttamente a un’Istituto d’investigazione privata, il rapporto che s'instaurerà non sarà quello previsto dall’art. 327-bis c.p.p., ma sarà disciplinato dall’art. 135 del T.U.L.P.S. (senza esonero ex art. 222 cit., quindi, dall'annotazione nel registro degli affari del compenso pattuito per l'espletamento dell'indagine, della data e
della specie dell’operazione effettuata, dell’esito delle operazioni e dell’indicazione dei documenti forniti dal committente ai fini della sua identificazione nonché delle generalità della parte, senza poter altresì utilmente opporre il segreto sugli atti d'indagini compiute agli ufficiali e agli agenti di pubblica sicurezza che intendano visionare il registro de quo).
Peraltro, qualora il mandato all'investigatore sia stato conferito dal difensore della P.O., egli è certamente tenuto a conformarsi alle prescrizioni che governano la peculiare procedura di cui al combinato disposto degli artt. 391-nonies e 327-bis c.p.p., siccome disposizioni che tutelano la "trasparenza" dell'attività defensionale. 
In ogni caso, l'esito dell'attività investigativa dovrà risultare dalla relazione finale prodotta agli atti del giudizio nonché venire riferito direttamente in aula dall'investigatore privato, che andrà escusso nel contraddittorio delle parti. 
Peraltro, per la cennata Corte territoriale di Trento l'investigatore andrebbe citato in qualità di testimone, nell'ambito di un giudizio ordinario, mentre è ben risaputo che costui - che assumerebbe tale veste se udito nelle cause civili - va sentito quale Consulente Tecnico di Parte (c.t.p.) nel processo penale.
Laddove l'imputato abbia optato per il rito abbreviato, se la relazione dell'Investigatore privato sia "entrata" legittimamente nel fascicolo processuale, nessuna conseguenza può trarsi dal fatto della mancata sua audizione, atteso che la citazione dell'autore di quella relazione rappresenta uno degli effetti della scelta del rito speciale premiale, senza che possa inferirsene una qualche limitazione delle risultanze probatorie raccolte su mandato direttamente della P.O. la quale - ex art. 327-bis c.p.p. - può alternativamente avvalersi delle investigazioni eseguite dal Difensore e dai suoi ausiliari, a partire dal momento dell’incarico professionale e al fine di “ricercare e individuare elementi di prova a favore del proprio assistito”. 
L'investigatore privato, però, non è sufficiente che sia munito di licenza amministrativa ex art. 134 T.U.L.P.S., occorrendo, ai sensi dell'art. 222 disp. att. c.p.p., che egli abbia “maturato una specifica esperienza professionale che garantisca il corretto esercizio dell’attività” e altresì che, in ossequio a quanto stabilisce il D.M. n° 269/01.12.10, disponga della specifica autorizzazione prefettizia a svolgere indagini nel procedimento penale, di cui alla c.d. "macro-area"  rubricata all'art. 5 (" Qualità dei servizi di investigazione privata e di informazione commerciale").
Infatti, siccome il suddetto D.M. n° 269/10, in vigore dal 16.03.2011, ha rimodulato la disciplina relativa agli istituiti di investigazione privata, è rimasta invariata la previsione - restrittiva, nel senso su indicato - che l’investigatore privato autorizzato a svolgere indagini difensive in sede penale è soltanto quello che opera "su istanza degli Avvocati", atteso che il Regolamento prevede al punto "a.V): attività d'indagine difensiva, volta all'individuazione di elementi probatori da far valere nell'ambito del processo penale, ai sensi dell'articolo 222 delle norme di coordinamento del codice di procedura penale e dall'articolo 327-bis del medesimo Codice", così impedendo ogni diversa suggestione ermeneutica, atta a dilatare il novero dei soggetti abilitati a conferire l'incarico per indagini finalizzate alla ricerca di elementi di prova da utilizzare nel contesto del processo penale. 
Ma tant'è, questa la soluzione adottata a Trento, nonostante l'evidente discrasia con le norme vigenti.

Corte d'Appello di Trento, Sent. 30.11.2012/03.01.2013

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI TRENTO
SEZIONE PENALE

composta dai signori magistrati:
Dott. CARMINE PAGLIUCA, Presidente
D.ssa ANNA MARIA CREAZZO, Consigliere 
D.ssa ARIANNA BUSATO, Consigliere
ha pronunciato in Camera di Consiglio la seguente

Sentenza

nei confronti di S.I., nata a (omissis), imputata appellante,
avverso la Sentenza del Tribunale di Trento, Sez. Dist. di (omissis) in composizione monocratica n° 73/11 del 25.05.11 che dichiarava S.I. responsabile del reato a lei ascritto e, concesse circostanze attenuanti generiche e applicata la diminuente per il rito, la condannava alla pena di mesi due e giorni venti di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali.
Condannava l'imputata al risarcimento del danno cagionato alla parte civile B.A. che liquidava ad oggi in via equitativa in complessivi € 3.800,00, oltre ad interessi legali dal fatto al saldo, nonché a rifondere le spese di costituzione, difesa e rappresentanza che liquidava in complessivi € 3.000,00, oltre ad accessori di legge. Pena sospesa e non menzione.
Udita la relazione della causa, fatta in Camera di Consiglio dal Presidente Dott. Carmine Pagliuca.
Sentito il Procuratore Generale, Dott. Giuseppe Maria Fontana, che ha concluso per la conferma della Sentenza impugnata.
Sentito il difensore della parte civile B.A., Avv. R.F.L. che ha concluso per la conferma della Sentenza impugnata e che deposita conclusioni scritte e nota spese.
Sentito il difensore di fiducia, Avv. T.L., che ha concluso per l'accoglimento dei motivi di Appello, chiedendo l'assoluzione dell'imputato.

Svolgimento del processo
S.I. è stata condannata dal Tribunale Monocratico di Trento all'esito di giudizio abbreviato e previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di due mesi e venti giorni di reclusione, oltre che al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, liquidato in € 3.800,00, per il reato di atti persecutori in danno di B.A., commesso in (omissis) fino al giugno 2010.
Secondo l'accusa ritenuta provata in Sentenza sulla base delle affermazioni della parte lesa e degli esiti di una indagine condotta da investigatore privato, la S.I., cognata di B.A., era entrata in conflitto con costui dopo la morte del fratello, suo marito, nel 2006. Da allora erano iniziati comportamenti vessatori del più vario tenore, dalle parole offensive ("bastardo", "carogna" e simili), fino al compimento di veri a propri atti provocatori, come quando gli aveva gettato dinanzi casa una busta con dei polli in decomposizione, generandogli una condizione di vita insopportabile, al punto che B.A. aveva dato mandato ad una agenzia investigativa privata. 
Era quindi emerso che era stata proprio la cognata a dare fuoco ad una apparecchiatura di videoregistrazione installata nel ricovero attrezzi; dalla ripresa registrata si vedeva lei stessa che vi cospargeva liquido. 
In altra occasione aveva versato acqua nel serbatoio dell'olio del trattore ed era stata vista entrare più volte, anche di notte, nel deposito del cognato.
Tutto ciò era stato ritenuto sufficiente ad integrare il reato contestato; di qui la condanna.
Ha interposto Appello il difensore, il quale in primo luogo contesta la utilizzabilità della relazione prodotta dall'investigatore privato, che avrebbe dovuto essere officiato dal difensore e non direttamente dalla parte; ciò che aveva determinato la esplicazione di una indagine irrituale e perciò affetta da invalidità patologica, eccepibile anche nel giudizio abbreviato. 
Tolta la relazione non restano prove a carico dell'imputata che, perciò deve essere mandata assolta con ampia formula.
Nel merito rileva che, comunque, difetterebbero gli estremi del reato contestato perché il B.A. non si era trovato affatto nella situazione di prostrazione psicologica che si vorrebbe far credere, ma era stato lui stesso a compiere attività vessatorie verso l'imputata, tanto che questa lo aveva anche denunciato, con il seguito di un decreto penale emesso e mai opposto. 
La querela sporta, perciò, va vista più come una ritorsione che non come genuina richiesta di condanna per interrompere uno stalking che si stesse subendo.
Anche quanto alla liquidazione in favore della parte civile c'è contestazione, non risultando provato alcun danno subito dal querelante.

Motivi della decisione

Ritiene la Corte che nessuna censura meriti l'utilizzazione della relazione redatta dall'investigatore privato a richiesta della parte lesa, trattandosi di fonte probatoria ben prodotta dal privato officiato dal diretto interessato e di libera valutazione, non sussistendo nel nostro ordinamento un sistema di prova legale tipicizzato. 
Vero è che se a conferire quell'incarico fosse stato il difensore questi avrebbe dovuto osservare la procedura prevista dagli artt. 391-nonies e 327-bis c.p.p., che sono norme a tutela della stessa trasparenza dell'attività del difensore, ma ciò nulla toglie alla possibilità del singolo che ne abbia interesse, di commettere all'investigatore privato autorizzato un tema di indagine, i cui risultati saranno poi non solo esposti nella relazione finale, quale quella esistente in atti, ma anche direttamente testimoniati dall'investigatore, se citato come teste nell'ambito di un giudizio ordinario.
In questo caso è mancata la citazione del teste autore della relazione, ma ciò non costituisce limite della risultanza probatoria, bensì solo l'effetto della scelta del rito praticata dall'imputato che ha preferito il giudizio abbreviato, così rinunciando di fatto a quella audizione.
Chiarito questo può ben dirsi che quanto accertato dall'investigatore privato, oltre che rendere prova diretta dei fatti corrispondenti, fornisce anche una puntuale conferma di attendibilità a quanto denunciato dal B.A., essendo emerse circostanze del tutto in linea con le sue affermazioni d'accusa: l'appiccamento del fuoco all'apparecchio di videoregistrazione ed il previo cospargimento di liquido, altro non significa se non che l'imputata aveva quella volta attuato una azione di sabotaggio sorretta da malanimo e da spirito ostile, sfogato nell'ombra e colpendo alle spalle, come solo una volontà malevola, rivolta a ledere appena possibile e, perciò, a perseguitare, poteva giustificare.
I fatti nel complesso, costituiti da parolacce, incombenza fastidiosa, azioni di disturbo, ecc., avevano trovano origine in epoca immediatamente successiva alla morte del fratello della parte lesa, nel 2006 e, secondo le affermazioni di quest'ultima (qui ritenute credibili), non avevano mai subito tregue o interruzioni, fino agli ultimi episodi accertati dall'investigatore. 
Ai fini che qui interessano, poiché la norma incriminatrice è stata introdotta solo da fine febbraio 2009, unicamente a quelli successivi a tale data si guarderà per stabilire la ricorrenza o meno del reato in contestazione, anche se quelli verificatisi in precedenza possono e debbono essere presi in considerazione per comprendere la natura del clima esistente e per lumeggiare sulla reale portata e sul significato degli avvenimenti successivi. 
I fatti rilevanti sono quelli esposti in denuncia, così riassumibili:
Continuo stillicidio di rumori prodotti dalla battitura di bastoni o oggetti simili sul pavimento;
constatazione, dopo l'autunno 2009, dell'avvenuta moria delle api, prodotta da avvelenamento con polvere bianca (evento documentato da foto in atti), trovata anche nell'orto;
sempre dopo l'estate 2009, era accaduto che balle di fieno custodite in un capannone adiacente alla casa, erano state trovate bagnate e marce all'interno e perciò inservibili, come mai accaduto prima e come impossibile senza che qualcuno vi avesse versato acqua;
nel marzo 2010 era stato notificato al B.A. un decreto penale di condanna per fatti di ingiurie, minacce e molestie, denunciati come da lui commessi in danno della cognata e dei di lei figli, con stupore dell'interessato che disconosceva quanto addebitatogli, al punto che, trovandosi a dover fronteggiare la situazione degenerata anche sul piano delle false accuse, laddove il folto numero dei parenti denuncianti a suo carico (la cognata ed i suoi 4 figli) poneva di fatto una contrapposizione perdente tra la sua sola parola e la loro, si indusse a rivolgersi all'investigatore perché accertasse chi fosse l'autore di disturbi, dispetti e vere e proprie attività pericolose in suo danno;
poco prima della presentazione della querela, infine, nel giugno 2010, si erano verificati altri due episodi di avvelenamento delle api.
A giudicare dagli esiti della investigazione privata, ritiene la Corte che debba prestarsi piena fede a quando dichiarato dal B.A. e smascherare come subdola tramatrice la congiunta, attuale imputata.
L'investigatore, infatti, dopo aver installato apparecchiature elettroniche adatte a tenere sotto sorveglianza i luoghi in cui si erano verificati gli insoliti accadimenti, dovette prendere atto che anche queste erano state danneggiate con modalità gravemente proditorie dalla parente, che, introdottasi nottetempo nei locali di deposito, aveva provocato un corto circuito al sistema di alimentazione e determinato la distrazione per incendio delle apparecchiature stesse. 
Questo evento, però, non era giunto fino al punto da non consentire, tuttavia, il recupero del disco rigido accluso al sistema elettronico-informatico di videoregistrazione, dalla cui lettura, fatta con acconce procedure, fu possibile addirittura visionare la donna che cospargeva liquido sulle apparecchiature prima che queste si incendiassero e riprendere anche costei mentre aggiungeva liquido (risultato essere acqua per oltre 5 litri) nel serbatoio dell'olio del trattore agricolo della parte lesa.
Siffatti esiti accertativi, fornivano chiara chiave di lettura degli avvenimenti controvertibili o anche solo, fino a quel momento, oggetto di sospetto nella attribuibilità e consentivano di far ritenere che tutto quanto subito, riportato, accertato dal denunciante, ad altri non fosse riconducibile se non alla cognata, che lo aveva in odio, come apertamente manifestato già dal 2006 e che non aveva smesso di attuare contro di lui comportamenti vessatori, che, a questo punto, vanno visti come un continuum dal quale ella mai si era lasciata distogliere e nei quali aveva perseverato fino ai fatti ultimi di diretta rilevanza ai fini della incriminazione di stalking.
Né, alla luce di quanto specificamente ed oggettivamente accertato, può dirsi ipotizzabile che i fatti non ricaduti in riprese video potessero essere stati opera di soggetti diversi, non riuscendosi nemmeno ad immaginare chi potesse aver avuto interesse a compiere, in una proprietà privata di non libero accesso, azioni tanto miserevoli, mirate a produrre danno al solo B.A., senza alcun vantaggio per chi se ne rendeva autore, se non quello del sottile piacere di sfogare il proprio odio, tenendo sotto scacco la persona presa di mira, sapendo di incuterle rabbia, dolore ed incertezza sul futuro: cose, queste, tutte in linea con le intenzionalità riconoscibili nelle riprese videoregistrate, che vedevano proprio l'imputata come protagonista.
Del reato in contestazione ricorre pienamente anche l'elemento psicologico richiesto dalla norma incriminatrice, essendo fuori dubbio che per effetto delle angherie subite il B.A. avesse finito per vivere nella inquietudine e nell'ansia di trovarsi esposto, da un momento all'altro, a qualsiasi spiacevolezza, danno, o pericolo, variabili solo in funzione delle iniziative della cognata: nuove distruzioni delle api; messa fuori servizio del trattore; danneggiamento dei prodotti stoccati (come nel caso delle balle di fieno); inquinamento, se non peggio, degli ortaggi in giardino e connessa paura di rimanere lui stesso avvelenato; incombenza della antagonista quando erano presenti parenti o ospiti, di fatto tenuti lontano dalla casa del B.A. che, proprio per questo, aveva finito per trovarsi in condizione di quasi totale isolamento; minori e disturbi provocati ad arte, ecc. 
Lo stesso incarico affidato all'investigatore privato costituisce riflesso tangibile dello stato di disperazione cui era giunta la parte lesa, vistasi esposta ad ogni incognita, senza possibilità di attribuzioni sicure alla cognata, per il fatto che egli subiva gli effetti delle sue azioni, senza altre eclatanze riconoscibili, tranne che nei casi di ingiurie ed offese dirette.
È appena il caso di rilevare che, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte "Il delitto di atti persecutori, c.d. stalking (art. 612-bis c.p.), è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità" (cfr. Cass. Pen., Sez. V, n° 29872/2011, rv. 250399).
Così, ancora, secondo Cass. Pen., Sez. V, n° 6417/2010, rv. 245881, "Integrano il delitto di atti persecutori, di cui all'art. 612-bis c.p., anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice".
Deve essere, pertanto, senz'altro confermata l'affermazione di responsabilità della S.I.
Quanto al risarcimento del danno, la liquidazione fattane dal primo giudice è stata computata su base equitativa, trattandosi, come ampiamente motivato, di danno morale e la Corte non ritiene di doversi discostare da quella quantificazione, che appare complessivamente appropriata, consona alla natura dei fatti ed alle sofferenze subite dalla parte lesa.

P.Q.M.

Visto l'art. 599 c.p.p.
Conferma la sentenza impugnata e condanna l'appellante al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi € 1.800,00, oltre IVA e CPA.
Fissa il termine di giorni 30 per il deposito della Sentenza.
Così deciso in Trento, il 30.11.2012.
Depositata in Cancelleria il 03.01.2013.

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