Massimiliano Altobelli svolge personalmente la professione di Investigatore Privato a Roma con autorizzazione della Prefettura, sia in ambito civile che penale, dal 1995.
Mi chiamo Massimiliano Altobelli, svolgo, con passione, la professione di Investigatore Privato dal 1995 e sono regolarmente autorizzato dalla Prefettura di Roma in base agli artt.134 e seg. del T.U.L.P.S..
Nei vari siti internet presenti in rete o nelle innumerevoli pubblicità presenti nei siti di annunci, troverete centinaia di pubblicità di Agenzie Investigative dove si dichiara di essere autorizzati, di avere esperienza pluriennale, di essere leader del settore, ecc.
Vi invito a leggere il mio Curriculum Professionale, presente in questo sito, dove si evince chiaramente la mia esperienza ventennale specifica e dove sono chiaramente specificate le varie autorizzazioni conseguite negli anni di lavoro.
E’ Vostro diritto chiedere all’Investigatore Privato a cui vi rivolgete di poter visionare la Licenza rilasciata dalla Prefettura e le Tabelle con le operazioni e relative tariffe, che devono essere esposte presso l’ufficio dell’Agenzia.
Questo consiglio Vi sarà utilissimo nel capire che molte persone vantano esperienze pluriennali, avendo la Licenza solo da pochissimo tempo oppure essendo sprovvisti della stessa, quindi addirittura abusivi.
..spesso avere la certezza e le prove di un proprio sospetto, fà la differenza fra "subire" e "risolvere"..
Roma, Via della Farnesina n.15 (Ponte Milvio)
Tel.: 336.340.007 -- 335.64.999.19
P.I.: 10102770582
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Tel: 336.340.007
L'assegno di mantenimento non è altro che una somma di denaro, il cui obiettivo è quello di garantire un sostegno al soggetto, che nella coppia, è considerato il più debole.
E' chiaramente previsto in Italia e se ne parla nell'articolo 156 del codice civile; va comunque specificato che il soggetto considerato debole tra i due, non deve ovviamente rappresentare la causa principale di un'eventuale separazione.
Se poi all'interno del nucleo familiare vi è anche la prole, tutto può cambiare e la decisione finale spetterà al giudice, che avrà come priorità quella di tutelare gli interessi morali e materiali dei figli, adottando un provvedimento giusto e perfettamente in linea con la legislazione attuale.
Una coppia in procinto di separazione non rappresenta mai la felicità che tutti immaginiamo, soprattutto se ci sono anche dei bambini, semplicemente perchè se non ci si muove nel modo giusto saranno loro per primi, ad accusarne il colpo.
La separazione consensuale è forse quella che può lasciare meno strascichi; in tal caso i coniugi decidono in maniera del tutto naturale e concordata, di raggiungere una soluzione che possa andar bene ad entrambi, causando il minor numero di effetti negativi.
Anche in tal caso l'assegno familiare è largamente previsto, ma la sua misura verrà stabilita da entrambi, al contrario, se non si raggiunge un accordo, in perfetta armonia, sarà compito del giudice trovare una soluzione, solo dopo aver esaminato la situazione economica di entrambi.
Chiaramente se si sceglie di andare oltre e quindi optare per il divorzio, dovrà esserci una sentenza e se tutti gli elementi saranno presenti, dopo un attento studio di entrambe le parti, sarà previsto un assegno di divorzio, elemento chiave previsto con la Legge 898/70.
Per quanto possa sembrare strano, nonostante ci sia una separazione consensuale, a volte possono insorgere alcuni problemi, perchè quando si parla di situazione economica, tutti tendono un po' a storcere il naso, o nascondere dettagli molto importanti.
I dettagli sono fondamentali, perchè saranno proprio questi a mutare il reale valore dell'assegno familiare, motivo per cui, nascondere eventuali rapporti lavorativi, non è mai una buona idea, soprattutto se una delle due parti sceglie di appoggiarsi ad un investigatore privato.
In tal caso spetterà proprio al detective privato fare chiarezza, perchè grazie al suo lavoro, sarà in grado di raccogliere materiale importante, che andrà a confermare o meno, eventuali cambiamenti economici e patrimoniali su quello che sarà il soggetto debole, ovvero, colui che andrà a beneficiare dell'assegno familiare.
Sono tanti i casi in cui, un investigatore è riuscito, grazie ai suoi studi, a fornire al giudice, tutte le prove necessarie affinchè si potesse procedere con una riduzione o annullamento dell'assegno.
In situazioni del genere è fondamentale affidarsi un una figura esperta.
Personalmente ho avuto modo di abbracciare molte situazioni di questo tipo, opero a Roma e provincia da anni, posso vantare grande esperienza e metterla nelle tue mani, offrendoti numerosi servizi; la mia agenzia investigativa si prenderà cura di te, approfitta del primo incontro gratuito!
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Massimiliano Altobelli_Investigatore Privato a Roma dal 1995
Massimiliano Altobelli
Scommetto che sei alla ricerca di un investigatore privato Frosinone, un professionista che operi quindi nella tua zona, ma ad oggi non ne hai trovato uno che riesca effettivamente a soddisfarti, ed a rispondere alle tue esigenze, ben non devi di certo arrenderti!
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Ti aspetto in studio, precisamente a Roma ed in zona Ponte Milvio, si lo so, adesso penserai, ma chi me lo fa fare a farmi quasi 90 Km di macchina per venire fin lì?
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In questo settore contano i fatti e non le promesse, sicuramente gli investigatori privati Frosinone sono bravi, non lo metto in dubbio, non parlo mai male dei miei colleghi, però se nessuno è riuscito a convincerti, forse sarà il caso di guardare oltre.
Non lasciarti intimorire dalla distanza e valuta piuttosto se un investigatore si tiene in costante aggiornamento, quanti anni di esperienza ha alle spalle, così come anche l'effettiva soddisfazione dei suoi clienti passati e presenti, tutti elementi che ti spingeranno a scegliermi.
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Massimiliano Altobelli _ Investigatore Privato a Roma dal 1995!
Di seguito alcune normative in merito al diritto di poter commissionare investigazioni private nel rispetto delle normative vigenti in ambito di "privacy".
Il Codice di deontologia e di buona condotta per i trattamenti di dati personali effettuati per svolgere investigazioni difensive o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria nacque dalla necessità di definire delle procedure di comportamento che potessero contribuire a interpretare, nel rispetto della normativa vigente, le attività che riguardano alcuni aspetti della complessa attività forense e investigativa.
Alcuni passaggi normativi risultarono essere fondamentali al fine della nascita e dell'adozione del predetto Codice.
L'art. 27 della direttiva n. 95/46/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, secondo cui gli Stati membri e la Commissione avevano incoraggiato l'elaborazione di codici di condotta destinati a contribuire, in funzione delle specificità settoriali, alla corretta applicazione delle disposizioni nazionali di attuazione della direttiva adottate dagli Stati membri.
Per di più, gli articoli 12 e 154, comma 1, lettera e) del Codice in materia di protezione dei dati personali (D. Lgs. 30 giugno 2003, n. 196), i quali attribuiscono al Garante il compito di promuovere nell'ambito delle categorie interessate, nell'osservanza del principio di rappresentatività e tenendo conto dei criteri direttivi delle raccomandazioni del Consiglio d'Europa sul trattamento dei dati personali, la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta per determinati settori, verificarne la conformità alle leggi e ai regolamenti anche attraverso l'esame di osservazioni di soggetti interessati e contribuire a garantirne la diffusione e il rispetto.
Inoltre, l'art. 135 del Codice con il quale venne demandato al Garante il compito di promuovere la sottoscrizione di un codice di deontologia e di buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuati per svolgere le investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397 o per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, in particolare da liberi professionisti o da soggetti che esercitano un'attività di investigazione privata autorizzata in conformità alla legge.
La deliberazione n. 3 del 16 febbraio 2006, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 1 marzo 2006, con la quale il Garante promuoveva la sottoscrizione del predetto codice di deontologia e di buona condotta.
Infine, la successiva deliberazione n. 31-bis del 20 luglio 2006 con la quale il Garante aveva adottato in base all'art. 156, comma 3, lettera a) del Codice il regolamento n. 2/2006 concernente la procedura per la sottoscrizione dei codici di deontologia e di buona condotta da parte di soggetti pubblici e privati i quali manifestavano la volontà di partecipare all'adozione di tale codice.
In relazione all'attività svolta dagli investigatori privati, il Capo IV disciplina specificamente il comportamento che tali professionisti devono osservare.
Difatti, l'art. 8 precisa che l'investigatore privato:
- organizza il trattamento anche non automatizzato dei dati personali secondo le modalità di cui all'articolo 2, comma 1 (l'organizzazione del trattamento anche non automatizzato dei dati personali secondo le modalità che risultino più adeguate, caso per caso, a favorire in concreto l'effettivo rispetto dei diritti, delle libertà e della dignità degli interessati, applicando i principi di finalità, necessità, proporzionalità e non eccedenza sulla base di un'attenta valutazione sostanziale e non formalistica delle garanzie previste, nonché di un'analisi della quantità e qualità delle informazioni che utilizza e dei possibili rischi);
- non può intraprendere di propria iniziativa investigazioni, ricerche o altre forme di raccolta dei dati. Tali attività possono essere eseguite esclusivamente sulla base di apposito incarico conferito per iscritto e solo per le finalità di cui al codice;
- l'atto d'incarico deve menzionare in maniera specifica il diritto che si intende esercitare in sede giudiziaria, ovvero il procedimento penale al quale l'investigazione è collegata, nonché i principali elementi di fatto che giustificano l'investigazione e il termine ragionevole entro cui questa deve essere conclusa;
- deve eseguire personalmente l'incarico ricevuto e può avvalersi solo di altri investigatori privati indicati nominativamente all'atto del conferimento dell'incarico, oppure successivamente in calce a esso qualora tale possibilità sia stata prevista nell'atto di incarico. Restano ferme le prescrizioni relative al trattamento dei dati sensibili contenute in atti autorizzativi del Garante;
- nel caso in cui si avvalga di collaboratori interni designati quali responsabili o incaricati del trattamento in conformità a quanto previsto dagli artt. 29 e 30 del Codice, l'investigatore privato formula concrete indicazioni in ordine alle modalità da osservare e vigila, con cadenza almeno settimanale, sulla puntuale osservanza delle norme di legge e delle istruzioni impartite.
Tali soggetti possono avere accesso ai soli dati strettamente pertinenti alla collaborazione a essi richiesta;
- il difensore o il soggetto che ha conferito l'incarico devono essere informati periodicamente dell'andamento dell'investigazione, anche al fine di permettere loro una valutazione tempestiva circa le determinazioni da adottare riguardo all'esercizio del diritto in sede giudiziaria o al diritto alla prova.
Il seguente art. 9 individua altre regole di comportamento quali l'astenersi dal porre in essere prassi elusive di obblighi e di limiti di legge e, in particolare, conforma ai principi di liceità e correttezza del trattamento sanciti dal Codice:
a) l'acquisizione di dati personali presso altri titolari del trattamento, anche mediante mera consultazione, verificando che si abbia titolo per ottenerli;
b) il ricorso ad attività lecite di rilevamento, specie a distanza, e di audio/videoripresa;
c) la raccolta di dati biometrici.
Tra l'altro, l'investigatore privato rispetta nel trattamento dei dati le disposizioni di cui all'articolo 2, commi 4, 5 e 6 del codice.
Circa tale aspetto, si deve sottolineare quanto segue.
Il richiamato art. 2 pone specifica attenzione è prestata all'adozione di idonee cautele per prevenire l'ingiustificata raccolta, utilizzazione o conoscenza di dati in caso di:
a) acquisizione anche informale di notizie, dati e documenti connotati da un alto grado di confidenzialità o che possono comportare, comunque, rischi specifici per gli interessati;
b) scambio di corrispondenza, specie per via telematica;
c) esercizio contiguo di attività autonome all'interno di uno studio;
d) utilizzo di dati di cui è dubbio l'impiego lecito, anche per effetto del ricorso a tecniche invasive;
e) utilizzo e distruzione di dati riportati su particolari dispositivi o supporti, specie elettronici (ivi comprese registrazioni audio/video), o documenti (tabulati di flussi telefonici e informatici, consulenze tecniche e perizie, relazioni redatte da investigatori privati);
f) custodia di materiale documentato, ma non utilizzato in un procedimento e ricerche su banche dati a uso interno, specie se consultabili anche telematicamente da uffici dello stesso titolare del trattamento situati altrove;
g) acquisizione di dati e documenti da terzi, verificando che si abbia titolo per ottenerli;
h) conservazione di atti relativi ad affari definiti.
Nel caso in cui i dati fossero trattati per esercitare il diritto di difesa in sede giurisdizionale, ciò può avvenire anche prima della pendenza di un procedimento, semprechè i dati medesimi risultino strettamente funzionali all'esercizio del diritto di difesa, in conformità ai principi di proporzionalità, di pertinenza, di completezza e di non eccedenza rispetto alle finalità difensive (art. 11 del Codice).
Sono utilizzati lecitamente e secondo correttezza:
a) i dati personali contenuti in pubblici registri, elenchi, albi, atti o documenti conoscibili da chiunque, nonché in banche di dati, archivi ed elenchi, ivi compresi gli atti dello stato civile, dai quali possono essere estratte lecitamente informazioni personali riportate in certificazioni e attestazioni utilizzabili a fini difensivi;
b) atti, annotazioni, dichiarazioni e informazioni acquisite nell'ambito di indagini difensive, in particolare ai sensi degli articoli 391-bis, 391-ter e 391-quater del codice di procedura penale, evitando l'ingiustificato rilascio di copie eventualmente richieste. Se per effetto di un conferimento accidentale, anche in sede di acquisizione di dichiarazioni e informazioni ai sensi dei medesimi articoli 391-bis, 391-ter e 391-quater, sono raccolti dati eccedenti e non pertinenti rispetto alle finalità difensive, tali dati, qualora non possano essere estrapolati o distrutti, formano un unico contesto, unitariamente agli altri dati raccolti.
Circa la conservazione e la cancellazione dei dati, l'art. 10 chiarisce che:
- nel rispetto dell'art. 11, comma 1, lett. e) del Codice della Privacy i dati personali trattati dall'investigatore privato possono essere conservati per un periodo non superiore a quello strettamente necessario per eseguire l'incarico ricevuto. A tal fine deve essere verificata costantemente, anche mediante controlli periodici, la stretta pertinenza, non eccedenza e indispensabilità dei dati rispetto alle finalità perseguite e all'incarico conferito;
- una volta conclusa la specifica attività investigativa, il trattamento deve cessare in ogni sua forma, fatta eccezione per l'immediata comunicazione al difensore o al soggetto che ha conferito l'incarico, i quali possono consentire, anche in sede di mandato, l'eventuale conservazione temporanea di materiale strettamente personale dei soggetti che hanno curato l'attività svolta, a i soli fini dell'eventuale dimostrazione della liceità e correttezza del proprio operato. Se è stato contestato il trattamento il difensore o il soggetto che ha conferito l'incarico possono anche fornire all'investigatore il materiale necessario per dimostrare la liceità e correttezza del proprio operato, per il tempo a ciò strettamente necessario;
- la sola pendenza del procedimento al quale l'investigazione è collegata, ovvero il passaggio ad altre fasi di giudizio in attesa della formazione del giudicato, non costituiscono, di per se stessi, una giustificazione valida per la conservazione dei dati da parte dell'investigatore privato.
Per concludere, l'art. 11 relativo all'informativa stabilisce che l'investigatore privato può fornire l'informativa in un unico contesto ai sensi dell'articolo 3 del codice, ponendo in particolare evidenza l‘identità e la qualità professionale dell'investigatore, nonché la natura facoltativa del conferimento dei dati.
Massimiliano Altobelli - Investigatore Privato Roma
Fonte: studiocataldi.it
Questo potrebbe rendere sempre più importante effettuare delle investigazioni private con lo scopo di accertare eventuali abusi per poter far valere un diritto del datore di lavoro in sede giudiziaria.
Massimiliano Altobelli - Investigatore Privato a Roma
L’ABUSO DEL PERMESSO “104″, PER ASSISTENZA DEI CONGIUNTI, GIUSTIFICA IL LICENZIAMENTO
La natura illecita dell’abuso del diritto a fruire dei permessi per l’assistenza dei congiunti, di cui all’art. 33, L. 104/1992, e il ragionevole sospetto che il lavoratore ne abbia abusato, legittimano il ricorso al controllo occulto c.d. “difensivo” ad opera del datore di lavoro. L’uso improprio del permesso per l’assistenza dei congiunti giustifica il licenziamento per giusta causa in quanto compromette irrimediabilmente il vincolo fiduciario indispensabile per la prosecuzione del rapporto di lavoro.
Un datore di lavoro si avvale di un’agenzia investigativa per “pedinare” un proprio dipendente, sospettato di utilizzare i permessi ottenuti per l’assistenza ai congiunti ai sensi dell’art 33 della L. 104/1992 al fine di recarsi in vacanza. Scoperto l’illegittimo uso del permesso, il datore licenzia il dipendente per giusta causa.
Il dipendente impugna il licenziamento contestando, in giudizio, la liceità del controllo operato dal datore e la conseguente utilizzabilità delle risultanze probatorie derivanti dall’attività investigativa. In particolare, secondo il lavoratore gli artt. 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori legittimerebbero, in presenza di un ragionevole sospetto, solo i controlli c.d. “difensivi” ovvero finalizzati ad accertare gli illeciti perpetrati a danno del patrimonio aziendale. In nessun caso, invece, il controllo potrebbe avere ad oggetto l’attività lavorativa intesa quale adempimento dell’obbligazione di fornire la propria prestazione lavorativa cui, a dire del lavoratore, sarebbero riconducibili i controlli effettuati dal datore di lavoro nel caso in esame.
Il Tribunale in primo grado accoglie il ricorso del lavoratore mentre la Corte D’Appello riforma la sentenza, argomentando che l’abuso del diritto di cui all’art. 33 L. 104/92 costituisce condotta illecita, tanto nei confronti dell’Inps, che eroga la corrispondente indennità, quanto nei confronti del datore di lavoro, il quale dall’abuso subisce comunque un danno, sia in termini economici dovendo, comunque, accantonare anche per i giorni di assenza il TFR, che organizzativi, dovendo far fronte all’assenza del lavoratore. La Corte d’Appello ritiene, inoltre, che nel caso di specie sussista anche il secondo requisito per accedere ai controlli difensivi ovvero il ragionevole sospetto del comportamento illecito (difatti due colleghi avevano in sede testimoniale dichiarato di aver sentito il lavoratore mentre raccontava di essere stato in vacanza in giorni in cui lo sapevano in permesso). Ad avviso del giudice di secondo grado, dalla liceità dell’accertamento difensivo consegue l’utilizzabilità in giudizio degli esiti dello stesso e, in definitiva, la legittimità del licenziamento per giusta causa.
La decisione è confermata dalla Corte di Cassazione (sentenza del 8 gennaio 2014, depositata in data 4 marzo 2014, n. 4984), la quale ribadisce la legittimità del controllo esercitato dal datore di lavoro attraverso l’impiego dell’agenzia investigativa e l’utilizzabilità delle relative prove. Il giudice di legittimità, ritenendo la natura illecita dell’abuso del diritto a beneficiare dei permessi per l’assistenza dei congiunti, esclude che il controllo esercitato dal datore di lavoro possa, nel caso di specie, considerarsi teso ad accertare l’adempimento della prestazione lavorativa, in quanto effettuato al di fuori dell’orario di lavoro e in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa.
L’utilizzo da parte del dipendente di permessi con finalità assistenziale per scopi diversi, secondo la Suprema Corte costituisce poi comportamento idoneo a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario, con conseguente legittimità del licenziamento per giusta causa, condividendo sul punto la decisione del Giudice d’Appello, adeguatamente motivata anche in relazione ai generali principi della “coscienza generale”. Su quest’ultimo punto, la Corte ha cura di ricordare come l’art. 2119 sia una norma c.d. elastica, tale per cui la giusta causa rappresenta un “modello generico”, capace di adeguarsi a una realtà mutevole nel tempo e che necessita quindi di essere specificato in sede interpretativa.
FONTE: diritto24.ilsole24ore.com
..Ottima sentenza che va a confermare l'importanza del dimostrare, con l'ausilio delle prove fornite da un Investigatore Privato, l'infedeltà del coniuge come motivo della separazione, al fine della richesta di addebito della responsabilità.
A pensare che ci sono ancora persone, anche Legali, convinti che le fotografie fornite da un Inevestigatore Privato non si possono presentare per "motivi di privacy"..
A mio avviso tanti progressi sono stati fatti negli ultimi anni, ad iniziare dal Decreto Ministeriale 269/2010, che ha fatto molta chiarezza in molti aspetti dello svolgimento della professione come, ad esempio, l'uso lecito della Localizzazione Satellitare, ecc. ecc.
Molta strada si deve ancora fare per dare a questa professione l'importanza e il rispetto che merita.
Massimiliano Altobelli - Investigatore Privato a Roma
Cassazione: le prove raccolte da un investigatore privato sono valide in causa di separazione
La Corte dà ragione a un marito che aveva chiesto il divorzio dalla moglie dopo aver scoperto il suo tradimento. Per scoprirla ha assoldato un detective.
Confermate le sentenze del tribunale di Modena e della corte d'Appello di Bologna.
BOLOGNA - Via libera alle investigazioni di un detective privato portate come prova in tribunale in una causa di separazione. E' la Cassazione a stabilirlo dando ragione ad un uomo che aveva assoldato un investigatore per accertare l'infedeltà della moglie. Era stata la signora, che voleva separarsi dal marito, a promuovere la causa chiedendo il mantenimento. Ma i giudici hanno ritenuto che dalle fotografie e dai tabulati telefonici emersi dalle indagini dell'investigatore e portati in tribunale, fosse la nuova relazione della moglie la ragione della definitiva rottura del rapporto tra i due coniugi. Le hanno quindi addebito la separazione, escludendo il suo diritto al mantenimento, nonostante questa avesse sostenuto che il matrimonio fosse in crisi prima della sua infedeltà, tanto che dormivano in camere separate.
La Cassazione - con la sentenza 11516 della prima sezione civile, che ha confermato quanto stabilito nel merito dal tribunale di Modena e dalla corte d'Appello di Bologna - ha ribadito quanto stabilito dalla stessa Corte nell'ambito dei rapporti di lavoro "ove è consentito al datore di lavoro incaricare un'agenzia investigativa al fine di verificare le condotte illecite da parte dei dipendenti". "Nel contesto della materia familiare - scrivono gli ermellini - parimenti il ricorso all'ausilio di un investigatore privato è ammesso".
Nel caso dei due coniugi la corte d'Appello ha ritenuto che la violazione del dovere di fedeltà fosse precedente alla domanda di separazione sulla base delle date delle fotografie e dei tabulati telefonici portati in tribunale. Su questo punto aveva fatto ricorso in Cassazione il difensore della donna, opponendo che "la relazione investigativa era stata redatta da un terzo su incarico del marito, dunque senza le garanzie del contradditorio" e che l'investigatore "aveva narrato una serie di fatti giungendo a conclusioni del tutto personali".
Secondo la Cassazione si tratta "di dati del tutto oggettivi, non di mere deduzioni dell'investigatore privato incaricato". A fronte dell'adulterio, dunque, il
marito "ha assolto all'onere della prova su di lui gravante", mentre - conclude la Suprema Corte - "l'anteriorità della crisi matrimoniale" rispetto all'infedeltà, sostenuta dalla moglie, "non è stata positivamente accertata dalla corte di merito".